Bufera giudiziaria sulle società controllate meridionali dell’ex galassia Phonemedia. Nell’indagine della Finanza sequestrati beni mobili ed immobili per un a valore pari a 130 milioni di euro. Una piramide di scatole cinesi che da Sicilia, Puglia e Calabria porta in Lussemburgo, negli Usa e In Nuova Zelanda.
Dieci arresti, un numero imprecisato di indagati, beni per 130 milioni di euro posti sotto sequestro. La bufera su quello che era il gruppo Phonemedia si è scatenata in mattinata quando la Guardia di finanza di Catania ha notificato le prime ordinanze di custodia cautelare richieste e ottenute dalla procura etnea: l’accusa per tutti i personaggi coinvolti è di truffa ai danni dello Stato per circa 34 milioni di euro e riguarda i finanziamenti pubblici ottenuti dalle quattro società della galassia Phonemedia operanti nel Mezzogiorno.
In tutti i casi, i fondi erano stati richiesti e ottenuti o per le attività di impresa avviate in aree in crisi o per la stabilizzazione dei lavoratori precari: “L’aspetto più doloroso di questa truffa – ha detto il procuratore capo Vincenzo D’Agata, a margine della conferenza stampa sull’inchiesta Call center connection – è l’utilizzo di giovani precari che erano assunti e poi licenziati senza che l’azienda attivasse neppure gli ammortizzatori sociali”.
Al centro dell’indagine ci sono la B2b, sede legale a Catania, e call center a Trapani; la Multimedia planet srl, titolare dei contact center di Trapani e Bitritto (Bari); la Multivoice srl di Catanza e la Soft4web di Vibo Valentia.
Per tutte e quattro le società, i lavoratori hanno chiesto e in gran parte (manca la pronuncia sulla B2b) ottenuto il commissariamento, il sequestro conservativo e in qualche caso la dichiarazione di insolvenza. Le istanze dei dipendenti erano partite perché in tutti i casi le società avevano interrotto il pagamento degli stipendi nel mese di settembre 2009 senza dichiarare lo stato di crisi che avrebbe se non altro consentito ai lavoratori di accedere agli ammortizzatori sociali.
Gli indagati Delle undici ordinanze di custodia cautelare, 10 sono state eseguite. La Guardia di finanza ha arrestato e trasferito in carcere Ermanno Traverso, 56 anni, originario di Torino ma formalmente residente a Londra; Giancarlo Catanzano, 50 anni, originario di Genova ma residente in Svizzera; Giuseppe Benedetto Dellisanti, 57 anni, di Milano; Matteo Gianni, di 36 anni, di Torino; Massimo Piermarini, 45 anni, di Bolzano. Su disposizione del gip, agli arresti domiciliari sono stati posti Gianna Tavella, 47 anni, di Torino; Andrea Fornasari, 44 anni, di Ferrara; Vittorio Maruzzi, 50 anni, di Milano; Giuseppe Battaglia, 49 anni, di Milano; e Marco Mannucci, di 36 anni, di Catanzaro. Un undicesimo indagato, Giancarlo Grenci, 40 anni, nato a Milano ma residente in Svizzera, destinatario di ordine di custodia cautelare in carcere, è attualmente irreperibile.
Scatole cinesi Gli agenti della Finanza catanese hanno dovuto scalare una piramide delle scatole cinesi per arrivare agli indagati. Secondo quanto accertato, le quattro società sono di proprietà al 100 per cento di Amt Italia srl, a sua volta controllata al 100 per cento dalla lussemburghese, Amt Europa; a sua volta controllata integralmente da una società di diritto con sede nel Delaware e uffici in Svizzera e a sua volta “gestita” dalla Techne capital Ltd con uffici in Svizzera e Singapore.
Le due società-madri, hanno accertato gli investigatori catanesi delle Fiamme gialle, sarebbero state gestite da Ermanno Traverso e Giancarlo Catanzano, che sarebbero gli amministratori non soltanto delle società estere ma di fatto i veri controllori di tutta la catena che sta dietro le operazioni di finanziarie di Amt Europa e Amt Italia e quindi delle quattro società al centro dell’inchiesta.
Per avere un’idea dei giochi finanziari in cui è incappata l’inchiesta, basti pensare che le Fiamme gialle hanno “rintracciato” i nomi di alcuni indagati in una società (la Virinchi international limited) che ha sede in una fattoria sperduta della Nuova Zelanda nonostante abbia un fatturato di oltre 90 milioni euro; a sua volta nata da una costola dell’indiana Virinchi consultants; e poi nella Viviobio Ltd di Dublino, che cede alla Soft4web prodotti per poche migliaia di euro da una società di Hong Kong, la Dason tecnologies.
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Accolto il ricorso degli avvocati
Annullato dal Tribunale del Riesame di Catania il sequestro preventivo dei beni di Antonio e Claudio Battaglia, disposto dal G.I.P. del capoluogo etneo, in relazione al procedimento denominato “Call center connection” relativo alla truffa ai danni dello Stato, nel quale sono rimasti coinvolti i dottori Battaglia.
Nella fattispecie ai due professionisti era stato disposto il sequestro per la cifra corrispondente ai finanziamenti ottenuti a seguito delle richieste di agevolazione ai sensi della L.488/92 presentate in data 30/06/2001 al Ministero competente dai rispettivi amministratori delle società in carica all’epoca (circa 10 milioni di Euro). Non avendo disponibilità di quelle cifre ad Antonio e Claudio Battaglia era stata operata l’iscrizione di ipoteca sulla casa di residenza di ognuno, ed il blocco dei conti correnti bancari a loro intestati o afferenti accesi presso Istituti di credito con sede in città.
Il collegio giudicante ha quindi accolto in toto le ragioni dei due per come ampiamente esposto e motivato con copiosa documentazione prodotta dagli avv. Gian Piero Biancolella, Vito Branca ed Aldo Costa, difensori dei dottori Battaglia, nel corso della discussione in camera di consiglio svoltasi lo scorso martedì 1 giugno.
La disposizione del dissequestro dei beni dei fratelli Battaglia, pertanto fa emergere l’assoluta manchevolezza di elementi indiziari nei confronti degli stessi e la loro completa estraneità ai fatti oggetto di indagine ed a qualsiasi fatto delittuoso.